Quantitative Easing e la sentenza della Corte costituzionale tedesca, cosa c’è dietro?

Il 5 maggio scorso la Corte costituzionale tedesca ha depositato una decisione storica che ha suscitato reazioni insolitamente prudenti in Italia .

I commentatori sono stati per lo più indecisi sul significato da attribuire alla sentenza e nel dubbio di sono tenuti sulle generali.

La Repubblica titolava: “Karlsruhe accetta la decisione della Corte di giustizia europea sugli acquisti di titoli di Stato e privati da parte dell’Eurosistema. Ma giudica il programma sproporzionato, chiede alla Banca centrale di chiarirlo nel giro di tre mesi e al governo Merkel di prendere posizione perché il meccanismo sia rivisto” (leggi articolo qui).

Libero commentava in modo simile, sia pure parlando (ovviamente) di mezza bocciatura, invece che di mezza promozione: “Germania, la Corte Costituzionale boccia in parte gli acquisti della Bce“. Del resto in politica due metà non sono mai esattamente uguali (leggi articolo qui).

Il Sole 24 Ore ha surfato l’onda ed ha aperto con un titolo che è un capolavoro di cerchiobottismo: “La Corte costituzionale federale tedesca non trova traccia di monetizzazione del debito pubblico nel QE della Bce ma impone alla Bundesbank una verifica in tre mesi sulla proporzionalità del PSPP” (leggi articolo qui).

Insomma, vista attraverso le lenti dei nostri giornali, la sentenza non parrebbe cosa degna di nota. Sembrerebbe riguardare una pura questione di lana caprina sollevata da qualche pedante giurista tedesco in vena di filosofeggiare sul programma di Quantitative Easing ([1]) della BCE. Una questione tutta interna alla Germania. Nulla che ci debba riguardare.

Ed infatti già a partire dal giorno dopo la notizia era sparita dalle prime pagine dei giornali, quasi tutti più interessati, come i loro lettori, alla ripresa del campionato di calcio ([2]).

Peccato che il Quantitative Easing sia la trave che, al momento, regge da sola tutta l’impalcatura politica europea e che mantiene in condizioni di (relativa) stabilità i nostri mercati valutari e quelli dei titoli sovrani europei ed italiani, spread incluso.

Il fatto stesso che la Corte costituzionale tedesca se ne occupi merita tutta la nostra attenzione e, soprattutto, impone una lettura un po’ meno frettolosa di quella offerta dai nostri quotidiani.

Vale la pena di ricordare che il Quantitative Easing è un programma fortemente voluto da Mario Draghi per sostenere l’Euro, ridurre gli spread, favorire la circolazione della moneta, contenere la deflazione e in ultima analisi correggere gli effetti della crisi finanziaria del 2009 che rischiava di mettere a repentaglio la esistenza stessa del progetto europeo.

Semplificando molto, si tratta di un programma di acquisto di titoli di Stato (ma non solo) di tutti i paesi UE attraverso il quale la BCE cerca di ottenere gli stessi effetti di allentamento monetario che un tempo le singole banche centrali europee perseguivano stampando moneta.

Funziona così. La BCE stampa nuova moneta e la immette sul mercato tramite l’acquisto principalmente di titoli di stato di tutti i paesi europei.

Gli acquisti vengono materialmente eseguiti dalle banche centrali dei singoli paesi della UE con soldi messi a disposizione dalla BCE.

In questo modo la BCE ottiene l’effetto diretto di stabilizzare i prezzi ed i tassi di interesse dei titoli pubblici, evitando che i paesi indebitati siano costretti ad indebitarsi ancora di più per pagare i propri debiti, e indiretto di comprimere verso il basso la curva degli interessi sui finanziamenti alle imprese e alle famiglie.

Il risultato finale che la BCE vuole ottenere è di tenere sotto controllo gli spread e contemporaneamente stimolare la spesa delle famiglie e gli investimenti delle imprese, creando le condizioni migliori per la crescita economica, così da scongiurare il rischio di dover ricorre a nuovo debito.

Potremmo dire che il Quantitative Easing della BCE è la traduzione pratica del famoso whatever it takes pronunciato a Londra da Draghi il 26 luglio 2015, che ha permesso a molti paesi europei indebitati, in primis l’Italia, di sfuggire alle conseguenze della spirale del debito nella quale rischiano di ricadere ogni volta che gli spread scappano di mano ([3]).

Detto questo, risulta ben chiaro che una sentenza della massima autorità giudiziaria tedesca che affronta la legalità o la illegalità del Quantitative Easing è già di per sé una notizia.

Vuole dire che c’è qualcuno in Germania (e, come vedremo, ben più di qualcuno) che si è posto il problema e questo qualcuno ha convinto la Corte costituzionale a dedicare al problema una sentenza di 110 pagine.

In nessun altro paese europeo la questione è mai stata sollevata fino ad ora ([4]). E la prima volta che viene sollevata, succede in Germania. Non in Ungheria o in Polonia. In Germania, l’azionista di maggioranza della UE, il centro di riferimento politico ed economico dell’intera Europa.

L’importanza della decisione non è facilmente percepibile, nascosta come è dentro le pieghe di 110 pagine scritte in tedesco giuridico (le trovate qui).

Ma per fortuna lo stesso giorno la Corte tedesca ha reso disponibile online la traduzione in inglese della sentenza (traduzione in inglese qui).

E, come se non bastasse, ha pubblicato sul proprio sito un precisissimo comunicato stampa che è un vero e proprio executive summary. In meno di quattro pagine spiega con semplicità e precisione il ragionamento dei giudici e il significato della sentenza.

Insomma, parola d’ordine della Corte: massima visibilità interna ed internazionale alla sentenza.

Nonostante questo la sentenza tedesca rimane complessa da decifrare.

Vediamo quindi prima di tutto di capire esattamente cosa dice. E poi di pensare a quali conseguenze può avere.

Come detto, la sentenza verifica la compatibilità del programma di Quantitative Easing della BCE con le regole della costituzione tedesca.

I giudici costituzionali muovono dal presupposto che il Quantitative Easing abbia conseguenze di politica economica che vanno oltre gli obiettivi di politica monetaria che sono compito della BCE. E alcune di queste conseguenze producono effetti negativi anche per i cittadini tedeschi.

Si pensi solo, osserva la Corte, all’ingente volume delle risorse spese dalla BCE con i soldi anche dei contribuenti tedeschi (due trilioni di Euro) e alla durata del programma (tre anni). Si pensi soprattutto, ricorda ancora la Corte, ai tassi d’interesse artificiosamente bassi indotti dagli acquisti della BCE e agli effetti di ciò sui risparmi dei tedeschi.

A detta della Corte tedesca, le decisioni della BCE di avviare il Quantitative Easing e di proseguirlo non chiariscono in modo esplicito la necessità e, soprattutto, la proporzionalità di tale programma alla luce dei compiti assegnati dai Trattati UE alla BCE.

Dal momento che la regola della proporzionalità degli interventi degli organi UE è principio fondante dell’Unione e della ripartizione di competenze fra Unione e stati membri, l’assenza nei provvedimenti della BCE di una esplicita motivazione rende impossibile – a detta della Corte – accertare se il Quantitative Easing sia compatibile o meno con le regole della costituzione tedesca. Che assegnano, come avviene anche in Italia, allo stato tedesco il pieno ed esclusivo controllo sul bilancio federale.

Questa carenza legittimerebbe il sospetto della Corte che lo stato tedesco sia stato scippato dalla BCE che avrebbe di fatto preso il controllo della politica economica europea e quindi anche tedesca.

La Corte rileva che è responsabilità del Governo e del Parlamento tedeschi assicurarsi che gli organismi europei agiscano all’interno dei Trattati. Tuttavia né l’uno, né l’altro hanno assunto alcuna iniziativa al riguardo con la BCE.

La Corte pertanto ha deciso di assegnare al Governo ed al Parlamento tre mesi di tempo per rimediare alle proprie mancanze e pretendere dalla BCE che quest’ultima compia l’analisi richiesta e motivi la compatibilità con le regole UE e, in particolare, con il principio di proporzionalità del Quantitative Easing.

Infine, ricorda la Corte costituzionale tedesca, nessuna autorità tedesca può dare esecuzione a decisioni di autorità europee prese al di fuori delle loro competenze (ultra vires dice la Corte, eccesso di potere diremmo noi).

Questo significa che la Bundesbank dovrà cessare di implementare il Quantitative Easing e procedere alla vendita graduale dei titoli già detenuti su mandato della BCE, qualora la BCE non fornisca motivazioni adeguate entro il termine di tre mesi assegnato dalla Corte al Governo ed al Parlamento tedeschi.

Riassumendo, i giudici costituzionali tedeschi hanno detto:

  • abbiamo il forte sospetto che il Quantitative Easing non rientri fra le azioni che in base ai Trattati la BCE può intraprendere;
  • in ogni caso la BCE non ha fornito adeguate motivazioni al riguardo nelle proprie delibere e nelle proprie comuinicazioni;
  • la BCE ha tre mesi di tempo per spiegare al Governo ed al Parlamento tedeschi la propria posizione;
  • se la BCE non lo farà o le sue ragioni non risulteranno convincenti, la Bundesbank dovrà smettere di comprare i titoli di stato europei e vendere quelli che detiene.

Fin qui la decisione. Che già di per sé non è proprio bella. Ma ancor meno bello è cosa si intravede dietro a questa decisione.

La causa è stata promossa da quasi duemila fra cittadini e istituzioni tedeschi fra i quali spiccano, intellettuali, professori universitari, fondazioni, imprese, banche, ecc. tutti evidentemente poco interessati al processo di integrazione europeo.

Queste posizioni intellettuali godono di crescente popolarità in ogni strato della società tedesca, come prova, da un lato, il successo della AfD, un movimento politico fortemente euroscettico, descritto come rozzo e filonazista, ma fondato da uno dei più brillanti economisti tedeschi, con studi alle università di Berkley e Vancouver ([5]); dall’altro, il contestuale indebolimento della CDU, tradizionalmente filoeuropeista.

Il maggior quotidiano tedesco Bild è noto per le sue posizioni euroscettiche e vende ben oltre un milione di copie al giorno. Per avere una idea, Libero da noi ne vende meno di 30 mila.

La carenza di motivazione delle decisioni della BCE, lamentata dalla Corte tedesca, è un argomento debole, molto debole.

Durante il suo mandato Draghi ha avuto almeno due interlocuzioni ufficiali con il Parlamento tedesco durante le quali immagino che non abbia parlato del tempo.

Quella dei limiti del mandato della BCE era, come è giusto che fosse, la principale preoccupazione di Draghi. Come avete potuto leggere poche righe sopra, il “whatever it takes” è preceduto da un chiarissimo e ripetuto “Within our mandate“.

Il Direttore della Bundesbank siede nel board della BCE e ha partecipato a tutte le riunioni nelle quali sono stati discussi e decisi i Quantitative Easing.

Vogliamo davvero pensare che nessuno di tutta questa folta schiera di politici, giuristi ed economisti abbia notato che le decisioni della BCE non erano adeguatamente motivate?

Il procedimento avanti alla Corte costituzionale tedesca per arrivare alla sentenza è stato lungo: è durato quasi quattro anni. È cominciato nel 2015 ed è arrivato a sentenza in un momento storico che non sembra casuale.

Draghi non c’è più, al suo posto c’è una personalità assai meno autorevole, la scena politica tedesca è in forte transizione rispetto a quattro anni fa, quando la Signora Merkel ancora dettava legge ed incidenti come quelli della Turingia non sarebbero mai successi (il primo presidente di un Land della AfD eletto con i voti della CDU).

Qualcuno ha voluto leggere la decisione come il canto del cigno di un anziano giudice prossimo alla pensione. Ed in effetti il Presidente della Corte ha depositato la sentenza il giorno prima di andare in pensione ([6]).

Ma risulta difficile leggere questa sentenza come il colpo di coda di un vecchio giudice. Primo perché il Presidente non decide da solo, ma insieme ad altri cinque giudici il cui voto conta quanto il suo. Secondo perché in Germania esiste il voto dissenziente del quale non v’è traccia nella sentenza. Terzo perché siamo in Germania dove gli individualismi sono banditi.

Pare evidente che non si tratta di una decisione casuale, pubblicata in un momento qualsiasi della storia tedesca ed europea.

Pochi mesi or sono, lo scorso gennaio, il Presidente della repubblica tedesca ha conferito a Draghi, che aveva appena terminato il suo mandato alla BCE, la Gran croce di merito della Repubblica: che io sappia, il primo italiano a riceverla.

Vale la pena leggere il breve discorso del Presidente tedesco, lo trovate tradotto in italiano sul sito della presidenza tedesca (vedi traduzione qui).

Vi aspettereste che il discorso sia tutto un elogio della attività di Mario Draghi alla BCE. E lo è, con toni quasi celebrativi. Ma in realtà il Presidente tedesco spende tre quarti del tempo a sua disposizione a biasimare le critiche ingiuste che dalla Germania erano state rivolte a Draghi. Ben sapendo che la Corte costituzionale del suo paese ha da tempo messo sotto giudizio il Quantitative Easing, si lancia in una vera e propria arringa difensiva che sembra parlare proprio alla Corte costituzionale, arrivando al punto di dire:

Su questa base Lei, assieme alle Sue colleghe e ai Suoi colleghi del Consiglio direttivo della BCE, ha preso le decisioni ritenute giuste. Con riguardo al tasso d’inflazione, di solito nettamente inferiore alla definizione di stabilità dei prezzi della BCE. E con riguardo ai Trattati UE, la cui osservanza è stata più volte verificata e confermata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

La Corte costituzionale tedesca che smentisce il Presidente della repubblica federale tedesca? Cose che non ti aspetteresti in un paese granitico come la Germania. Cose che indicano l’esistenza di uno scontro di poteri che ha come oggetto l’Europa.

Difficile supporre che una decisone così esca inaspettata dalle stanze di un ufficio giudiziario. Difficile credere che sia stata deliberata senza il previo (informale) concerto con esponenti chiave del potere legislativo e di quello esecutivo.

Basti un solo dato al riguardo: Andreas Vosskuhle, il presidente che l’ha firmata, era stato proposto nel 2012 dalla Signora Merkel alla carica di Presidente della Repubblica tedesca. Proposta che il nostro aveva gentilmente rifiutato, ma che indica la centralità di Vosskhule nelle gerarchie tedesche.

Insomma, non è difficile leggere la sentenza in questione come una mossa preordinata e per nulla distensiva della parte di élite di quel paese che non è interessata alla integrazione europea e a tutto quello che questo comporta.

La sentenza dà legittimazione giuridica non ad un argomento, ma ad un sentimento, molto più diffuso di quanto non si percepisca all’esterno, certificandone la legalità.

Un sentimento che non esclude la solidarietà, sia ben chiaro. La vulgata del tedesco egoista ed ingrato è una vulgata. Il passaggio della sentenza che ne sottolinea l’irrilevanza ai fini della discussione in corso sulle misure di assistenza finanziaria nella crisi da coronavirus è da un lato giuridicamente ineccepibile e dall’altro politicamente significativo.

La Germania è stato il paese che ha curato più malati Covid italiani di ogni altro paese europeo, pur avendo in corso a propria volta una pandemia tutt’altro che leggera ([7]).

Ma la generosità è una cosa, la prodigalità un’altra. Un conto è sostenere vicini poveri ed ammalati, un conto è ripianare i debiti di vicini litigiosi e spendaccioni.

La Germania non è l’Inghilterra e Andreas Vosskuhle non è Boris Johnson. E la sentenza della Corte tedesca non è l’inizio della Germanexit. Alla continentale Germania l’Europa interessa molto di più che alla insulare Inghilterra. Ma la strategia sostenuta da una parte oramai ben visibile e giuridicamente legittimata del paese è a ben vedere la stessa.

Mercato unico dove piazzare le proprie merci (Germania) e vendere i propri servizi (Inghilterra): sì.

Integrazione politica dove sedersi allo stesso tavolo con italiani (e spagnoli, greci, ciprioti e compagnia cantando): no.

 

[1] Quantitative Easing è una espressione giornalistica. Formalmente ci si dovrebbe riferire all’Expanded Asset Purchase Programme (EAPP), di cui il Public Sector Purchase Programme (PSPP) è la costola che riguarda i titoli del debito pubblico. Per saperne di più si può consultare il sito della Banca d’Italia.

[2] Con alcune eccezioni fra le quali merita segnalare il Sole 24 Ore del 10 maggio 2020 (pag. 1). Il contributo di Sergio Fabbrini evidenzia con chiarezza significato e rischi della decisione tedesca. L’analisi propone una lettura in chiave politologica della giurisprudenza della Corte tedesca che avrebbe sviluppato una vera e propria “ideologia” antieuropea.

[3] Le parole esatte di Mario Draghi, pronunciate a Londra, alzando gli occhi dal foglio che stava leggendo e guardando ben diritto all’uditorio, furono “Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the Euro. And believe me, it will be enough“. Il “whatever it takes” è entrato nella storia, ma il “believe me, it will be enough” ha un tono decisamente rassicurante e vagamente minaccioso che conferisce al discorso una forza persuasiva mai neppure sfiorata da alcun leader europeo. Il video è disponibile qui.

[4] Con la sola eccezione del Portogallo durante gli anni del bail-out, ma, sia detto con il massimo rispetto per quel paese, non se n’era accorto nessuno.

[5] https://it.wikipedia.org/wiki/Bernd_Lucke

[6] https://en.wikipedia.org/wiki/Andreas_Vo%C3%9Fkuhle

[7] https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/health/coronavirus-response/coronavirus-european-solidarity-action_it

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