Io me lo chiedo ancora adesso, ma forse sono un po’ in ritardo.
Di solito questa domanda i grandi cominciano a farla quando siamo piccoli e vanno avanti fino a quando troviamo il primo lavoro. Poi d’improvviso smettono. Proprio quando avrebbe più senso farla.
Chiedere a chi che non ha mai lavorato che lavoro vuole fare è un non senso. Come fa a saperlo se non ha mai passato un’ora in un ufficio pieno di colleghi sonnambuli e mangiato panini made in deliveroo?
La domanda va fatta dopo che uno c’ha provato, ha fatto qualche esperienza e, forse, ha cominciato a farsi una idea di quello che vuole dalla sua vita lavorativa.
Ma a 15 anni la nostra esperienza si ferma alla verifica di greco e, per quanto amore uno possa avere per il greco, il greco non ha mai aiutato nessuno a scegliere il lavoro. Tranne quelli che volevano occuparsi di gente che si abbracciava alle ginocchia e faceva l’aperitivo con mosto mischiato a miele. Grazie, ma preferisco lo spritz.
La domanda ha ancora meno senso oggi che tutti dicono che più della metà dei lavori di domani nemmeno esistono ancora. E quello che non dicono è che più della metà dei lavori di oggi spariranno domani.
Se un lavoro non esiste e quelli che ci sono spariranno, come ci prepariamo? Cosa studiamo? Che scuola frequentiamo?
Ci sono tre modi per scegliere il proprio futuro lavorativo.
C’è l’approccio all’americana che dice di seguire le proprie passioni. Il mantra è tutto nella famosa frase: do what you love, and you will never work another day in your life. L’avrete sentita dire mille volte dai nostri amici d’oltreoceano. La prima volta che l’ho sentita mi è sembrata una gran genialata. Dalla seconda in poi ho cominciato a dubitare della sua validità. Voglio dire, seguendo questa filosofia le persone più felici dovrebbero essere le prostitute. La verità è che per il novanta per cento di noi una passione smette di essere tale appena diventa un lavoro.
L’approccio europeo dice di scegliere secondo le proprie capacità. Il motto è focus on what you are good at and nothing else. Anche qui la cosa non mi convince. Vuoi mettere la bellezza di imparare cose nuove mano a mano che si cresce. Bellezza che oggi è obbligo, se non si vuole restare intrappolati da lavori sul viale del tramonto.
Un modo migliore di scegliere il proprio futuro è lasciare che sia il futuro a scegliere. Si sceglie una formazione, non un lavoro. L’idea di fondo è che una identità lavorativa precisa oggi non sia un asset ma un liability. A single fixed work identity is a liability in today’s world, dice chi la pensa così.
Questo approccio mi piace di più. Chiede di investire su se stessi, sulla propria education e non su uno specifico job che può tradire dall’oggi al domani perché qualcuno in California ha inventato una scatola che lo fa meglio di me.
Già, ma come si fa a scegliere l’education giusta per i prossimi 30 anni?
In teoria è facile. Basta sapere quali saranno i bisogni da qui a 30 anni. Difficile dirlo? Beh, ogni previsione è difficile, ma ci sono alcune esigenze primarie che non è poi così difficile prevedere.
Proviamo a farci alcune domande e darci delle risposte.
Primo: il mondo del futuro lo immaginiamo più semplice o più complesso? Sfido chiunque a dire che sarà più semplice. Voltatevi indietro e ditemi se negli ultimi 10/100/1000 anni il mondo è diventato più semplice o più complesso. Se anche voi pensate che sia diventato più complesso, la prima esigenza di un education che apra le porte del domani è scegliere percorsi che diano strumenti per governare la complessità. Che diano matite in grado di ridisegnare il confine del complesso. Mettere al centro del nostro sapere il logos ci assicura eternità di pensiero. Mettere al centro del nostro sapere ciò che già sappiamo, la techne, ci garantisce di essere sorpassati dal prossimo algoritmo.
Secondo: il mondo del futuro lo immaginiamo mobile o immobile? Domanda facile vero? Allora la nostra education dovrà permetterci di attraversare ogni confine a piacimento. Studiare Kant in Cina potrebbe essere una idea scioccante per qualsiasi genitore che sta facendo i soldi con le cartolarizzazioni della banca accanto, ma geniale per un figlio che non voglia passare la vita a chiedere la mancia al papà.
I confini da attraversare non sono solo quelli fisici, ma anche e soprattutto quelli immateriali. Imparare ad essere mobili quindi non vuole dire solo andare in Cina. Gli astronomi – oggi poco più che una setta di fisici sognatori – saranno i prossimi governatori della nostra società multisatellitare? I medici oggi curano i vivi. Domani cureranno i morti? Gli astronauti che dialogano già oggi con i capi di stato, saranno a capo degli stati di domani? Solo chi è preparato ad attraversare tutti i confini, potrà domani farne un lavoro.
Terzo: il mondo del futuro sarà più vero o più falso? Domanda facile anche questa. La comunicazione ha preso il sopravvento sulla informazione e la proliferazione della falsa verità e della veritiera falsità è un trend facile da prevedere. Chi si prepara oggi a riconoscere la verità e la falsità domani avrà di che pensare e di che lavorare. Acquisire da giovani la capacità di stabilire il confine fra vero e falso assicura un posto nel mondo di domani, dove questo confine sarà in continuazione spostato perché verrà richiesto in continuazione di spostarlo. Ne sanno qualcosa i servizi di intelligence di tutto il mondo che reclutano laureati in filosofia che hanno insegnato Kant in Cina (non lo dico a caso).