Piaccia o no, Donald Trump ha una strategia e la sta applicando in ogni settore della politica americana, compresa quella fiscale. La riforma fiscale è stata approvata dal congresso americano alla fine di dicembre ed è in vigore da quest’anno.
I pilastri sui quali poggia la nuova tassazione delle società americane sono quattro.
- Primo pilastro: flat tax federale del 21% per tutti i redditi societari. Tenendo conto delle imposte locali, la tassazione effettiva USA passa dal 40% al 27%. Un calo di ben 13 punti percentuali. Tutti i 1Q2018 profit delle società americane sono già in crescita solo per questo. Inoltre, il 27% è la stessa tassazione che c’è in Italia. In Germania è il 30%, in Francia 33,3%, assai più alta. Gli Stati Uniti diventano un paese attraente dal punto di vista fiscale per tutte le imprese europee.
- Secondo pilastro: stretta sul riporto delle perdite fiscali. Da quest’anno le imprese americane adotteranno un meccanismo di deduzione delle perdite pregresse identico a quello delle imprese italiane, tedesche e francesi. La nuova regola è il carryforward delle perdite senza limiti di tempo, ma con limite di importo pari all’80% del reddito di ogni anno. Stessa regola in Italia e nei maggiori paesi europei.
- Terzo pilastro: limitazione alla deduzione degli interessi passivi. Gli interessi ora sono deducibili solo nel limite del 30% dell’EBITDA. Anche in questo caso si tratta di un cut and paste delle regole italiane ed europee.
- Quarto pilastro: introduzione della participation exemption. La riforma USA elimina dal 2018 la tassazione dei dividendi e dei capital gain da partecipazioni estere. Anche in questo caso il modello è quello europeo.
In breve, la riforma Trump rende il sistema fiscale americano più simile a quello europeo, ma con aliquote competitive con quelle europee.
Risultato: Corporate America felice e le società europee guardano all’America per i nuovi investimenti.
Tutto bene quindi? Dipende
Il finanziamento della riforma è interamente a debito: il taglio delle imposte non è accompagnato da alcun taglio di spesa. Gli esperti stimano che la riforma farà aumentare di circa US$ 1.455 miliardi il debito pubblico americano nei prossimi dieci anni.
La riduzione delle imposte sarà certamente di stimolo alla economia, ma la domanda che tutti gli esperti si fanno è se il valore della crescita economica indotta dalla riforma compenserà la perdita di gettito o se invece il debito non si tradurrà in inflazione e quindi perdita di valore. Domanda alla quale nessun economista onesto ha una risposta certa.
Ma Trump ha l’asso nella manica e l’ha già messo sul tavolo: dazi commerciali.
Merci prodotte al di fuori degli USA e importate negli USA sconteranno dazi doganali che ne innalzeranno il prezzo finale di vendita ai consumatori. La finalità dei dazi è semplice: penalizzare le merci di importazione a favore di quelle prodotte localmente per favorire la nascita e lo sviluppo della industria locale, stimolando ulteriormente l’economia già stuzzicata dai tagli fiscali. In generale il consenso degli studiosi è che i dazi doganali non portano benefici strutturali di lungo periodo e deprimono lo sviluppo tecnologico. Ma il mondo della Donald’s Tax è immerso nel presente, il futuro è adesso per i suoi elettori.
La strategia a questo punto è chiara
Trump ha ridotto in modo drastico le tasse sui profitti societari, ha introdotto regole fiscali simili, se non identiche a quelle europee, ha annunciato e già in parte approvato l’introduzione di dazi sulle merci importate in USA. Ha fatto tutto questo ricorrendo in modo massiccio al debito pubblico, non volendo toccare spese militari e assistenza sociale, voci alle quali gli elettori di Trump sono molto sensibili.
Il messaggio alle imprese è forte e chiaro: spostate i vostri impianti e producete le vostre merci in USA, le venderete pagando poche tasse e trovando regole che vi sono familiari. Il messaggio agli elettori è rassicurante: vedrete più posti di lavoro in brevissimo tempo, senza tagli alla assistenza. Il messaggio ai mercati finanziari è ammiccante: più debito, più emissioni, più interessi, più crescita, più borsa.
Trump non sarà simpatico, non sarà raffinato, ma ha idee molto chiare che persegue con rapidità e determinazione. Espone il suo paese – che lo ha votato, ben sapendo chi votava – a rischi seri, ma lo fa per provare a modo suo a mantenere il primato economico mondiale degli USA.
America first, appunto.