Regime forfetario per partite IVA si, no, forse…

Il forfetario è un regime fiscale a bassa intensità per partite IVA individuali che fatturano fino a 65.000 euro all’anno.

Non è proprio una novità, è sempre esistito qualcosa del genere nel nostro ordinamento tributario.

Nel 2008 Berlusconi introdusse il regime dei minimi che è il progenitore dell’attuale forfetario. Nel 2015 Renzi varò il forfetario 1.0. Nel 2019 Salvini e Di Maio hanno lanciato il forfetario potenziato. Pallida ombra della flat tax immaginata nel Contratto di governo.

Ve lo ricordate il Contratto di governo? Forse. Ma certo non ricordate cosa si diceva nel contratto di governo a proposito della flat tax:

In particolare, il nuovo regime fiscale si caratterizza come segue: due aliquote fisse al 15% e al 20% per persone fisiche, partite IVA, imprese e famiglie; per le famiglie è prevista una deduzione fissa di 3.000 euro sulla base del reddito familiare.

Allora, facciamo i conti. Di flat tax per persone fisiche, imprese e famiglie non se ne è vista traccia. La flat tax per le partite IVA si è tradotta in un potenziamento del forfetario renziano. Che non guasta, come vedremo fra poco. Ma è ben lontana dalle promesse post elettorali.

Nonostante lo scarso contenuto innovativo, il nuovo forfetario pentastellato è riuscito ad attirarsi un sacco di critiche da parte di studiosi ed esperti, più che dagli elettori.

Fra i minimi del 2008 e il forfetario del 2019 però la differenza principale è la soglia di accesso che passa da 30.000 euro a 65.000 euro. Raddoppia, certo, ma parliamo sempre di cifre contenute.

Il motivo delle critiche degli studiosi non può essere questo.

Diciamo invece che l’idea bipartisan di non costringere chi fattura cifre contenute a gestire la stessa mole di adempimenti di chi fattura cifre elevate è sacrosanta. Ed infatti è stata sposata da tutti i governi di tutti i colori dal 2008 ad oggi.

Altrettanto sacrosanta, a mio avviso, è l’idea di non costringere chi vive di un lavoro da partita IVA, per definizione privo di tutele, a pagare le stesse tasse di chi vive di lavoro dipendente.

Difficile inoltre non notare con attenzione e apprensione la diffusione delle nuove partite IVA come conseguenza della nascita di nuovi lavori (youtuber, ad esempio) e della precarizzazione di quelli vecchi (finte collaborazioni).

Non sono certo che la risposta giusta da dare a questi fenomeni sia da ricercare nella leva fiscale, ma almeno una risposta arriva. Modesta, inefficiente, ma intanto c’è.

Del resto che il nostro mondo (giuridico, economico, sociale, culturale, ecc.) sia impreparato a dare risposta ai (non) lavori è sotto gli occhi di tutti.

Avete letto la recentissima sentenza della Corte di appello di Torino sui bike rider Foodora? Leggetela qui.

La Corte ha individuato un terzo genere di lavoro che si colloca tra il rapporto di lavoro subordinato e la collaborazione e che “postula un concetto di etero-organizzazione in capo al committente che viene così ad avere il potere di determinare le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa del collaboratore e cioè la possibilità di stabilire i tempi e i luoghi di lavoro“.

Un capolavoro di equilibrismo giuridico mentre le città sono invase da ragazzi in bici, privi di tutele, perennemente contromano, senza luci che portano la minestra a casa ad altri ultra precari come loro.

Davvero difficile non vedere i precipizi sociali sui quali siamo affacciati.

Ben venga quindi chi si prende la briga di dare risposte a questo mondo inquieto di non lavoro. Senza nasconderci che sono risposte altrettanto inquiete delle domande.

Ma allora perché un sacco di esperti hanno criticato l’impianto del nuovo forfetario invece di analizzarne le motivazioni?

Prendiamo uno dei commenti più autorevoli fra quelli che si trovano in rete. E’ proposto da due seri ricercatori di economia ed è stato pubblicato qualche giorno fa dalla voce.it. Lo trovate qui.

La critica fondamentale che viene rivolta al forfetario non è quella che ci si aspetterebbe da due studiosi. Ovvero che si tratta di una risposta parziale ad una domanda complessa. Oppure che la proliferazione delle tassazioni sostitutive toglie uniformità al sistema impositivo e genera quindi distorsioni ancora maggiori di quelle che si vorrebbero curare.

No, la critica è che il forfetario delle partite IVA a 65k si presterebbe a manovre elusive.

Ohibò, questa non me l’aspettavo.

Per spiegare la loro tesi gli studiosi ipotizzano il caso di una partita IVA che ha un flusso costante di ricavi annui pari a 155.000 euro.

Con un fatturato superiore a 65.000 euro la partita IVA in questione non potrebbe beneficiare del nuovo forfetario. Ma se il contribuente in questione riesce a ridurre i ricavi di un anno sotto i 65.000 euro (diciamo a 60.000) e riesce ad aumentare quelli dell’anno successivo della differenza (95.000 euro), l’anno successivo si trova un reddito di 250.000 tassato al 15%. Per il forfetario infatti il limite di 65.000 euro che vale è quello dell’anno precedente.

Nulla da dire: l’esempio sulla carta non fa una grinza.

Peccato che:

  • gli stessi autori ammettono che questo rischio c’era anche in passato e quindi non è una novità del nuovo forfetario che ha solo il merito/difetto di avere esteso la platea degli eventuali precari/furbetti;
  • questo rischio si ha anche con i regimi ordinari ad aliquote progressive. Se un anno c’è un picco di ricavi, basta spostare la fatturazione all’anno dopo. Si chiama tax deferral ed una tecnica vecchia come mia zia;
  • ogni agevolazione fiscale è una occasione per fare pianificazione fiscale e questo non è di per sé un male se alla forma corrisponde la sostanza. Se invece qualcuno pensa di alterare la sostanza per dargli una forma di comodo, esistono leggi antielusione e uffici della Agenzia delle entrate ben attrezzati all’uopo. Insomma è un po’ come dire che non si devono fare le opere pubbliche perché ci sono le infiltrazioni mafiose.

Ma la domanda che andrebbe fatta ai nostri ricercatori è un’altra: quale partita IVA ha flussi di ricavi costanti e spostabili da un anno all’altro?

Chiunque abbia mai vissuto davvero della propria partita IVA sa che i flussi non sono costanti e le possibilità di manovrarli sono minime.

Se i flussi sono costanti semmai c’è da chiedersi se si tratta di una vera partita IVA e quindi siamo da capo: non facciamo il forfetario perché qualcuno abusa delle partite IVA? Non facciamo le opere pubbliche perché c’è la mafia e la corruzione?

La critica al forfetario è un’altra ed è una critica che va rivolta a noi stessi e non ai vari Berlusconi, Renzi e Conte che non sono altro che i temporanei mediatori delle nostre disordinate istanze politiche.

Manca da tempo, e non solo in materia fiscale, un pensiero di fondo condiviso sulle scelte da fare. Domina la prevaricazione feudale del temporaneamente più forte sul temporaneamente più debole che domani sarà il più forte ed eserciterà la sua vendetta.

Ieri erano i dipendenti, oggi sono le partite iva, domani chissà.

Si acuiscono così le frammentazioni, i conflitti, l’appartenenza temporanea e interessata.

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