Vi ricordate di Carlo e della 500 rossa? Del contratto con l’autosalone e dei 10.000 euro persi per via di un paio di postille fatte ad arte? Vi raccontai la sua storia un po’ di tempo fa ( vedi articolo: Ogni postilla è puramente casuale).
Dopo aver pubblicato il post, alcuni di voi mi scrissero stupiti, increduli che cose del genere potessero davvero accadere e soprattutto restare impunite. Prima un Gip e poi un Tribunale che dicono va tutto bene, è tutto normale cambiare un contratto già firmato a molti sembrò incredibile.
Rassicurai i miei lettori. A Carlo non era successo nulla del genere, per fortuna. Carlo non esiste. Non esiste l’autosalone e non esistono Gip e Tribunali che si siano occupati della storia di Carlo. La storia era frutto della mia fantasia, come dicevo in calce al post.
Già, a Carlo non era successo, ma a qualcun altro però pare di sì.
Perché proprio pochi mesi dopo aver pubblicato quel post è uscita una sentenza della Corte di appello che sembra occuparsi di un caso molto simile a quello di Carlo.
Una coincidenza strana, ma vera. Ho scoperto la sentenza per caso. Me l’ha segnalata un amico e mi sono precipitato a leggerla.
È bellissima! E non solo perché dà ragione a Carlo …. chiedo scusa, volevo dire all’appellante, ma perché è semplice.
Parole chiare, frasi brevi, ragionamenti logici, collegati l’uno all’altro da un pensiero lineare. Si legge tutta senza mai bisogno di tornare indietro e in poco tempo, nonostante sia lunga, perché i giudici sono stati molto scrupolosi e non hanno tralasciato di riferire alcun dettaglio.
Non mi fido dei concetti oscuri, l’esperienza mi dice che se una cosa non è chiara, c’è qualcosa che non va.
Nella sentenza della Corte di appello, tutto è chiaro. Leggerla è come vedere per la decima volta un vecchio film western con la cavalleria che arriva a salvare l’accampamento sotto assedio.
È rassicurante, si spegne la tivù e si pensa, dai, alla fine i buoni vincono sempre.
Ho pensato che anche a voi facesse piacere leggerla e di seguito vi ho trascritto la parte più importante, quella nella quale i giudici spiegano perché nessuna postilla è mai casuale.
Osserva, sul punto, la Corte che secondo la tesi del venditore sono state fatte delle aggiunte a mano, dal suo consulente, perché il contratto era sbilanciato in suo danno.
La forma prescelta, tuttavia, è del tutto inusuale, ed idonea a generare equivoci e incertezze.
Quando si aggiunge una postilla (per di più a mano di persona terza, e non a mano dell’unico contraente che da quella postilla può trarre danno), questa esige una sottoscrizione apposita, che, nel caso di specie, ben poteva trovare spazio (ce n’era in abbondanza) a fianco di ogni aggiunta.
Del tutto inusuale è, invece, omettere la firma a lato dell’aggiunta ed inserire la dicitura “postille approvate” o “correzioni approvate” nelle vicinanze delle sottoscrizioni apposte in fondo alle pagine della scrittura, che normalmente hanno il diverso scopo di controfirmare la singola pagina. Qui non si può dire, come fa il venditore, e come fa il Tribunale, che sia stata appositamente sottoscritta l’approvazione delle postille o delle correzioni; non c’è una sottoscrizione apposita, tale non essendo quella a piè di ogni pagina del contratto.
Del resto, la sottoscrizione a lato della correzione è quello che avevano fatto il compratore e il venditore nel primo contratto, laddove la modifica del termine di pagamento, da giorni 90 a 60, è stata siglata, a margine della correzione, a mano dei contraenti.
Il contesto amichevole in cui si è concluso il contratto non sembra sufficiente a giustificare una modalità di stesura così equivoca e così difforme dalle più elementari regole che presiedono alla stipulazione dei contratti, né a giustificare la mancata distruzione di entrambi gli originali del primo contratto, essendo, ovviamente, irrilevante (se avvenuta) la distruzione soltanto di quello in possesso del venditore.
A questo primo argomento, si aggiungono le altre considerazioni fatte dal compratore in atto di appello a confutazione degli elementi valorizzati dal Tribunale.
L’art. 9, relativo alla durata del contratto, sarebbe stato modificato con aggiunta a penna del rinnovo tacito triennale con obbligo di disdetta da comunicarsi almeno un anno prima della scadenza; tuttavia, in caso di violazione di tale obbligo, l’aggiunta apposta all’art. 12 prevede una penale solo a carico del compratore, non a carico del venditore, il che non appare logico, posto che l’anticipata comunicazione tutela gli interessi di entrambe le parti contraenti.
La penale introdotta in danno del compratore con la modifica dell’art. 12 (tre volte l’ultimo fatturato annuale) appare del tutto spropositata rispetto a quella che, per la stessa violazione, è prevista in danno del venditore, di Lire 50.000.000.
Sul punto si deve condividere l’osservazione del compratore, secondo cui non è conforme alla normale prassi commerciale assumere il fatturato (che può avere forti oscillazioni) quale base di calcolo delle penali.