Ci sono alcuni istituti in Italia che fanno credito alle imprese, non hanno nemmeno un Euro di insoluti (i famigerati NPL), non devono ripulire i bilanci ogni anno, non vengono commissariati dalla Banca d’Italia e, udite udite, producono profitti per i loro azionisti invece che perdite a carico di tutto il paese. Questi operatori virtuosi hanno come clienti gli imprenditori e i professionisti più poveri d’Italia, quelli che se provano ad entrare in una banca non riescono nemmeno a superare il metal detector.
Miracolo? No, semplicemente Microcredito.
Di cosa si tratta?
Nato ufficialmente in Italia solo pochissimi anni fa, il Microcredito ha creato in brevissimo tempo un impatto sociale ed economico notevole con l’uso di pochissime risorse e senza alcuno spreco. Proviamo a mettere insieme alcuni dati.
Nei primi quattro anni di operatività, dal 2011 al 2014:
- sono stati erogati microprestiti per 370 milioni di euro, dei quali 277 milioni solo per nuove attività produttive;
- con questi prestiti sono state avviate 14.000 nuove imprese che hanno creato oltre 34.000 nuovi posti di lavoro;
- il valore medio di ogni prestito è stato inferiore a 20.000 euro;
- ogni prestito ha generato in media 2,43 nuovi posti di lavoro.
(Fonte: Ente Nazionale per il Microcredito, I dati del Microcredito in Italia).
I dati degli anni successivi al 2014 non sono ancora pubblici, ma dovrebbero essere ancor più incoraggianti, perché nel 2015 si è completato il quadro normativo e sono sorte nuove realtà specializzate nel Microcredito.
L’idea alla base del Microcredito italiano è tanto semplice, quanto efficace. La fascia di credito alle imprese fino a 35.000 euro interessa poco o nulla le banche, perché non offre garanzie compatibili con i ratios patrimoniali imposti dai regolatori (BCE, Banca d’Italia, ecc.). Inoltre, la richiesta viene il più delle volte da microimprese appena nate o addirittura ancora da costituire, promosse da piccoli imprenditori che magari hanno delle ottime idee, ma nessuna esperienza di business plan, bilanci e di tutte le altre diavolerie che un imprenditore deve conoscere per parlare con una banca.
A rimediare a tutto questo sono arrivati nel 2010 l’art. 111 del TUB (Testo Unico Bancario), approvato in piena era Berlusconi, e nel 2014 e 2015 i decreti attuativi del MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze), durante il governo Renzi. Uno sforzo bipartisan con il quale lo Stato ha assunto l’impegno di garantire alle società che erogano Microcredito l’80% del valore del prestito.
In cambio gli operatori del Microcredito si sono impegnati a dotarsi di una struttura user friendly che permette a chi vuole fare impresa partendo da zero di trovare qualcuno che lo ascolta, lo capisce e lo aiuta a trasformare una idea in realtà. Il tutto senza spese per l’imprenditore che viene seguito da un tutor professionale pagato dalla società di Microcredito. Il tutor è un vero e proprio partner del microimprenditore che lo affianca per tutta la durata del prestito e lo supporta negli aspetti più ostici del business, quelli fiscali, legali, marketing, amministrativi e tecnologici.
Chi può chiedere un microprestito?
Nuove imprese e neo professionisti, prima di tutto. Ma anche studenti che non hanno tutti i soldi per pagarsi il master, ma che li avranno quando cominceranno a lavorare. Famiglie in stato di temporanea difficoltà. La soglia massima stabilita dalla legge è 25.000 euro, che possono arrivare fino a 35.000 euro per i prestiti alle imprese virtuose. I prestiti sociali invece non possono superare i 10.000 euro.
Il Microcredito è anche una opportunità di investimento socially responsabile per fondi, family office e singoli investitori. La finanza etica rende, se è fatta con rigore e non è solo un risciacquo di coscienza. Lo Stato giustamente la promuove: guarda caso il TUB mette subito dopo l’articolo di legge dedicato al Microcredito un altro articolo intitolato alla “Finanza etica e sostenibile“, settore che sta raccogliendo molto interesse nel mondo del no profit.
Le società di Microcredito pagano ai loro investitori rendimenti almeno un punto percentuale più alto di quello dei titoli di stato, pur essendo investimenti che assomigliano molto ad un titolo di stato, perché tutte le erogazioni sono garantite per l’80% dallo Stato.
Tutti si aspettano che l’attuale governo avrà una particolare attenzione al fenomeno del Microcredito. Il M5S è stato un pioniere di questa forma di sostegno alla economia.
Difficile trattenere una riflessione dopo avere visto quanto si può fare con così poco. Se solo una frazione dei soldi spesi per salvare le varie banche venete, marchigiane e senesi fosse stata usata per potenziare il Microcredito, oggi avremmo un PIL più scoppiettante e una massa di NPL meno allarmante. E non accontentiamoci di dare la colpa di tutto questo ai partiti, al governo, alla Banca d’Italia, ai famosi poteri forti. Il malcostume è trasversale, orizzontale e verticale.
Lo stesso mondo del Microcredito deve già guardarsi dai furbetti. Gli operatori più attenti si sono accorti che c’è chi prova a prendere i soldi e scappare. Ma siccome chi fa così non è Woody Allen e non fa ridere, le realtà più attente stanno già prendendo le contromisure. Per esempio promuovendo la professionalizzazione dei tutor e integrandoli al meglio nel processo di erogazione del prestito.
E qui si apre un’altra opportunità per chi comincia a lavorare. Per un giovane che volesse davvero imparare sul campo a fare impresa, un po’ di esperienza come tutor è un’ottima idea. Si fa tanta gavetta e magari un giorno si parte con la propria impresa.
Al mondo del Microcredito manca però un tassello importante: un ambiente fiscale ad hoc che agevoli la raccolta e semplifichi la vita delle microimprese. Chi investe nel Microcredito prestando soldi alle società che fanno Microcredito sarebbe bene che potesse contare sulla stessa fiscalità dei titoli di stato, visto che investe in crediti garantiti dallo stato: ritenuta del 12,5% quindi, invece di quella standard del 26%. Chi mette su una microimpresa finanziata dal Microcredito dovebbe poter contare su un regime fiscale semplificato.
Oggi in Italia un regime fiscale di questo tipo esiste già ed è il regime forfetario, che però ha un difetto: lo si perde in qualunque momento si superino determinate soglie di fatturato e di spesa, entrambe molto basse.
Il nuovo esecutivo che ha messo al centro del Contratto di governo i problemi delle imprese e del lavoro dovrebbe far sì che chi comincia una nuova attività supportata dal Microcredito possa beneficiare del regime forfetario per tutta la durata del microprestito, così da dare il tempo alla microimpresa di crescere e svilupparsi. Si tratta di piccoli accorgimenti di costo limitatissimo per le casse dello stato e di ritorno sicuro per il nostro PIL.
Ci sarà qualcuno dei nostri 945 parlamentari che avrà voglia di occuparsene?